È importante iniziare con il dire che una certa quantità di ansia può essere utile nella vita quotidiana, ma in certe situazioni può bloccare l’individuo se è eccessiva e trasformarsi in panico fino ad evolversi in una forma patologica. Di conseguenza sembra essenziale individuare delle strategie per la gestione dell’ansia.
L’etimologia della parola ansia deriva dal latino anxius, che significa “affannoso, inquieto”; questo termine a sua volta deriva da angere, il cui significato è “stringere, soffocare”. Come detto in precedenza, è normale provare ansia; infatti è un’emozione che è molto utile per l’adattamento. Senza ansia e paura l’uomo non sarebbe riuscito a sopravvivere ai pericoli in passato e non sarebbe in grado di farlo nemmeno adesso. Quando si è messi alla prova, e bisogna affrontare una situazione che richiede molta concentrazione e attenzione, l’ansia è una risorsa ed un’alleata. L’ansia è un’emozione che viene esperita quando gli esseri umani sono sposti ad una minaccia imminente più o meno grave che sia, e viene generata dai pensieri che facciamo su quello che ci sta accadendo o su quello che potrebbe accadere (non dell’evento in sé).

Cosa differenzia l’ansia dalla paura e dallo stress

Ansia e paura

Ansia e paura sono due emozioni che si somigliano per le manifestazioni fisiologiche che le caratterizzano, come la respirazione affannosa, la tachicardia, il senso di nodo alla gola e l’aumento della sudorazione; inoltre, entrambe manifestano queste reazioni in conseguenza di una minaccia. Differiscono perché l’ansia è una reazione emotiva in conseguenza di un pericolo percepito, mentre la paura è una reazione emotiva conseguente ad un pericolo reale.

La paura è l’emozione più antica e necessaria per la sopravvivenza degli individui: si attiva nel momento in cui ci troviamo consapevolmente davanti ad un pericolo, un evento o un oggetto specifico, come risposta mirata nel tentativo di proteggere la nostra vita. Quando percepiamo un pericolo e proviamo paura a livello organico il sistema simpatico e prepara il corpo a quella che viene definita la modalità “attacco o fuga”. Questo meccanismo è sviluppato in ogni specie animale e si caratterizza per un aumento del battito cardiaco (che diventa più forte e più veloce), dell’afflusso di sangue ai muscoli, della pressione sanguigna dovuta alla contrazione delle vene e della dilatazione dei bronchi in modo da aumentare l’ossigenazione; contemporaneamente si rallentano tutti gli altri apparati non preposti al meccanismo (come per esempio l’apparato digestivo), in modo da preparare il corpo a prendere una decisione imminente tra il colpire o lo scappare e talvolta paralizza le nostre scelte. Negli esseri umani dal punto di vista fisiologico esiste un vero e proprio circuito cerebrale preposto alla paura; Joseph Le Doux, uno dei maggiori studiosi del cervello umano, ipotizza l’esistenza di due vie, una cosiddetta “alta” o corticale, più lenta e che implica la consapevolezza, l’altra “bassa” o sottocorticale, che è inconsapevole e più lenta.

La differenza tra ansia e paura risiede nelle connessioni cerebrali ad esse preposte: l’ansia segue la strada che parte dal talamo sensoriale e che passando per la corteccia sensoriale raggiunge l’amigdala, quindi lo stimolo si elabora cognitivamente; mentre nella paura la strada dal talamo sensoriale raggiunge direttamente l’amigdala e lo stimolo è pura percezione, in quanto non vi è alcuna elaborazione del percetto.

Ansia e stress

Il termine stress indica la risposta fisica e psicologica dovuta a pressioni o richieste provenienti dall’interno dell’individuo o dall’esterno, ovvero dall’ambiente. Questa risposta, che si attiva in modo automatico, viene regolata a livello fisiologico attraverso il rilascio ormonale e consente all’individuo di attivare le risorse emotive, cognitive e fisiche adeguate ad affrontare un potenziale o un reale pericolo. La risposta di stress è organizzata in una successione di fasi e si caratterizza in una serie di sintomi emotivi, cognitivi, fisici e in risposte comportamentali differenti, che differiscono da individuo a individuo. Una delle risposte più frequenti allo stress è l’ansia che rappresenta lo stato di allerta che ci attiva e ci orienta alla ricerca di una soluzione.

L’ansia ha un ruolo significativo per quanto riguarda la finalizzazione alla protezione e alla sopravvivenza, ci consente (così come accade anche per gli animali) di allertarci di fronte a un pericolo in modo da agire per evitarlo; tuttavia, la maggior parte delle persone la vede sotto una luce negativa, ne è spaventata e preferirebbe non provarla. È molto difficile distinguere l’ansia normale da quella patologica, pochi sono in grado di farlo; la seconda si caratterizza per durata, intensità e gravità maggiori e che ci impediscono di raggiungere gli obiettivi prefissati, ostacolandoci, affaticandoci e danneggiandoci.
La linea che passa normalità a patologia si rintraccia quando queste emozioni negativi diventano influenti sulla qualità della vita dell’individuo; quando diventa talmente influente da impedire il normale corso della vita lavorativa, affettiva e relazionale, impedendo di uscire di casa, esprimersi e realizzarsi, allora si parla di ansia patologica. In questi casi si presenta il rischio per l’individuo di sviluppare una vera e propria patologia psichica, il disturbo d’ansia.

Esistono molteplici fattori di rischio che possono favorire una maggiore esposizione dell’individuo allo stress, come il lavoro, la famiglia e le relazioni amica. Talvolta si esprime attraverso una malattia fisica, altre sono insite nel contesto ambientale in cui viviamo. Nel nostro contesto di vita attuale, caratterizzato da precarietà lavorativa ed economica, lo stress e l’ansia rappresentano un’emergenza sociale reale, fonte di disagio in ambito relazionale e familiare oltre che minaccioso all’integrità psicofisica e alla qualità della vita delle persone.
Tuttavia, ansia e stress non sono inevitabili e possiamo attuare delle forme di prevenzione primaria e secondaria, ovvero strumenti che aiutano a migliorare e promuovere le abilità, le competenze specifiche e le strategie che le persone hanno insite in sé stesso e che sono utili per anticipare il pericolo e imparare a gestirlo prima che possa degenerare nella forma patologica. È quindi fondamentale saper riconoscere ansia e stress, conoscere le nostre emozioni, sensazioni e pensieri, conoscere il fenomeno e fare informazione su questi due particolari concetti per aiutare gli individui ad esserne consapevoli.
L’ansia dipende dall’interazione di diversi fattori come la vulnerabilità passata e attuale, le esperienze di vita e il temperamento; si può quindi parlare di una predisposizione all’ansia anche se non tutti sperimentano un disturbo d’ansia.

Come imparare a gestire l’ansia

In generale è bene prepararsi alla gestione dell’ansia attraverso l’utilizzo di adeguate strategie di coping di tipo mentale e comportamentale per fronteggiare una determinata situazione.
I quattro cluster sintomatologici principali dell’ansia sono:

  • Sintomi psicosensoriali, come disorientamento, derealizzazione, depersonalizzazione, sensazione di camminare sulla gomma piuma o di gambe molli;
  • Sintomi vestibolari, come sensazione di instabilità, vertigini, sensazione di svenimento;
  • Sintomi cardiorespiratori, come tachicardia, senso di oppressione al petto, di affogare, dispnea;
  • Sintomi gastrointestinali, come nausea, vomito, mal di stomaco, tensione e/o dolori addominali, diarrea.

La Psicoterapia Cognitiva

Gli obiettivi della terapia di gestione dell’ansia sono diversi tra cui l’intervento comportamentale e l’intervento cognitivo, in particolare la ristrutturazione dei pensieri disfunzionali che stanno alla base di un dato comportamento. La terapia cognitiva è una delle più efficaci nel trattamento dei disturbi d’ansia perché li spiega tramite la relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti.

Secondo la terapia cognitiva standard (TCS) ritiene che alla base dei disturbi dell’umore e d’ansia ci siano delle distorsioni cognitive; sostanzialmente dei ragionamenti che si evidenziano perché si discostano dalle teorie normative del ragionamento causando l’aggravamento e il mantenimento di credenze patogene che, a loro volta, sottendono la sofferenza psicopatologica. In breve, la TCS sostiene che il disagio si basa su credenze e pensieri disfunzionali quindi è necessario lavorare su di essi durante la terapia.

Il meccanismo sul quale si basa l’ansia è chiamato “better safe than sorry” (BSTS), ovvero meglio salvi che dispiaciuti. Questo bias cognitivo è un ragionamento che sta alla base della valutazione di ogni evento minaccioso. Il suo scopo è quello di evitare errori di sottovalutazione dell’evento pericoloso, tale per cui in via preventiva è meglio allarmarsi che non farlo; questo ragionamento diventa disfunzionale quando viene utilizzato in modo eccessivo. Il BSTS è un ragionamento istintivo ed automatico e si attiva anche in situazioni poco pericolose, ma per le quali il soggetto ritiene importante per sé stesso che vengano prevenuti possibili danni. Alla base dei pensieri ansiosi infatti vi sono la sopravvalutazione della situazione pericolosa e la sottovalutazione delle proprie capacità e abilità nell’affrontare tale evento.

Il Modello del Circolo vizioso del Panico, ideato da Clark (1986) e modificato da Wells (1997) ritiene che alla base dell’ansia c’è uno stimolo scatenante esterno o interno al soggetto che viene percepito come minaccioso. La percezione di questo stimolo provoca l’attivazione di tutte le sensazioni somatiche correlate, come palpitazioni, tremore, sudorazione, dolori al petto, nausea, tachicardia, tremore, salivazione azzerata, iperventilazione o fame d’aria. Successivamente, il soggetto vive un’interpretazione catastrofica di tutte le sensazioni fisiche e mentali che sono correlate alla preoccupazione scatenata dall’evento. Queste preoccupazioni (come la paura di non respirare, di sentirsi male o di avere un infarto) portano ad un ulteriore incremento della preoccupazione e all’acuimento delle sensazioni somatiche, tali da causare un attacco di panico. Qualora si mettano in atto strategie di evitamento o comportamenti volti a proteggersi da tali eventi, per paura che si scateni un altro attacco, diminuiranno le manifestazioni negativi ma si andrà in contro ad una cronicizzazione dell’ansia. Di conseguenza è importante dedicarsi a percorsi che guidino alla gestione dell’ansia, in quanto rappresenta un’emozione che va attraversata e non evitata.

Interventi per la gestione dell’ansia

Per quanto riguarda gli interventi di tipo cognitivo una delle strategie più efficace è la psicoeducazione. Questa fase è rappresentata dalla presa di consapevolezza e la modifica di tutte le credenze cognitive disfunzionale attraverso la ristrutturazione cognitiva. Durante questa fase il terapeuta svolge una funzione supportiva per aiutare il paziente nell’accettazione dell’ansia e del rischio di panico che sono correlati a determinati eventi, in modo da comprendere che i pensieri non sono proporzionati all’evento minaccioso.

Per quanto riguarda gli interventi di tipo comportamentale si proporranno al paziente diverse tecniche di rilassamento volte all’eliminazione dei comportamenti di controllo e di evitamento degli eventi temuti. Alcune di queste strategie sono il rilassamento isometrico rapido, la tecnica del luogo sicuro, la respirazione diaframmatica, la mindfullness e l’esposizione enterocettiva e in vivo.
Sostanzialmente durante la TCS si affrontano due fasi principali:

Identificazione dei pensieri ansiogeni

Inizialmente l’individuazione dei pensieri disfunzionali può essere difficoltosa, soprattutto in quei pazienti in cui sono presenti da molto tempo e la cui manifestazione avviene ormai in modo quasi automatico. L’individuazione dei pensieri disfunzionali passa attraverso una serie di domande fondamentali, come per esempio “Cosa penso della situazione?”, “Cosa sto pensando adesso?”, Come farò?” o “Come posso affrontare questo evento?”.
Inoltre, come dicevamo precedentemente, correlati a questi pensieri c’è una forte sottostima delle proprie capacità, quindi il paziente in questa fase si chiede cosa possa succedere se non riesce ad ottenere risultati dalla terapia. Invece, un pensiero funzionale potrebbe essere prendere consapevolezza del fatto che l’opzione migliore è provare a superare le difficoltà facendo del proprio meglio.
Un passo importante per l’individuazione dei pensieri disfunzionali e la loro differenziazione da quelli funzionali è comprendere che solitamente questi pensieri negativi sono preceduti dalle espressioni “Sono obbligato a”, “Se…poi” o “Devo assolutamente”; invece nei pensieri funzionali sono abolite le doverizzazioni. Solitamente sono preceduti da espressioni che sottolineano il fatto che nel caso succeda qualcosa di negativo, per quanto se ne possa essere seccato e deluso e nonostante si preferirebbe che le cose fossero andate in modo diverso, non sarà una catastrofe e si riuscirà a trovare il modo di andare avanti comunque.

Sostituzione dei pensieri disfunzionali con altri che sono adeguati all’evento

Nel processo di sostituzione e di utilizzo di nuovi pensieri adeguati è molto importante valutare l’aderenza di queste nuove credenze rispetto alla realtà, per valutare se ci aiuta a raggiungere gli obiettivi o ce ne allontana o se è un pensiero condiviso anche dagli altri. Qualora il pensiero corrisponda ad un errore di ragionamento vuol dire che siamo andati in contro ad un bias cognitivo, ovvero una distorsione del modo di interpretare e valutare la realtà interna ed esterna alla persona, che sono collegate all’utilizzo di regole euristiche. Nel processo di gestione dell’ansia è quindi necessario fare attenzione a questi bias cognitivi, in particolari ai pensieri assolutistici o dicotomici (come per esempio “tutto o niente” e “nero o bianco”). In generale i bias cognitivi al quale è importante prestare attenzione, per attuare la sostituzione dei pensieri negativi, sono:

  • Catastrofizzazione, ovvero la tendenza a sopravvalutare le probabilità di un disastro. È possibile che qualcosa possa andare male, ma non bisogna sopravvalutare i rischi;
  • Generalizzazione, bisogna prestare attenzione a parole come sempre, mai, tutti, tutto, nessuno, niente, ed è importante chiedersi se la situazione posta in essere è davvero così estrema;
  • Pensare solo ai punti deboli dimenticandosi i punti di forza, ovvero il sottovalutare le proprie capacità nel gestire e affrontare l’evento critico. È importante comprendere e iniziare a pensare che non sempre si può avere successo, senza dimenticare che altre volte altre volte si ha avuto successo, anche se piccolo;
  • Ingigantire o minimizzare l’importanza di singoli episodi, è inoltre importante comprendere che se in un’occasione non siete riusciti a risolvere la situazione, non significa che in futuro continuerete a fallire.

Conclusioni sulle modalità di gestione dell’ansia

Per riassumere, nel processo di gestione dell’ansia, quando si prende consapevolezza di avere delle difficoltà e di stare male, è importante e utile considerare cinque punti fondamentali.
Innanzitutto, è necessario comprendere quale sia l’emozione che si prova nel momento in cui si stanno vivendo delle situazioni minacciose. Successivamente, si attraversa una fase di identificazione dei pensieri che sono alla base di quella emozione, in modo da riconoscere i propri pensieri disfunzionali attraverso un dialogo interno del paziente. Il passo successivo è rappresentato dalla messa in dubbio di queste credenze e questi pensieri disfunzionali, comprendendo che corrispondono ad una sovrastima dell’evento e che quindi sono esagerati e negativi. Si passa poi alla sostituzione dei pensieri e delle convinzioni disfunzionali con dei pensieri che siano più aderenti alla realtà della situazione vissuta e utili al paziente per raggiungere i propri obiettivi.
Infine, è utile ricorrere a tecniche comportamentali di rilassamento e rieducazione per far sì che il paziente possa gestire le emozioni che prima gli facevano evitare o lo facevano scappare dalla situazione.

L’articolo Vademecum sull’ansia e la sua gestione proviene da Benessere News.

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